giovedì 23 maggio 2013

Luigina Di Liegro: perché mi candido, nella mia Roma

Mi presento
Sono nata a Gaeta nel 1955. Quando ne avevo uno e mezzo, la mia famiglia è emigrata a New York, ed io con loro. Mio papà era un sarto, mia mamma lavorava con lui, lavoravano moltissimo, 24ore su 24... Sono cresciuta vivendo questa condizione di immigrata, nella forbice di due culture. 
La mia esperienza è quella di ogni bambina e bambino che diventa adulto in un paese straniero, conosco le sfide quotidiane e quelle psicologiche, so per averlo sperimentato in prima persona che l'immigrazione può rafforzarti oppure... ucciderti, dipende solo dalla tua caparbietà di essere persona. Ci sono cinque milioni di italiani ed italiane emigrati nel mondo, noi tutti abbiamo un cugino, uno zio, un parente  che in qualche momento della sua vita se n'è andato all'estero. Io provengo da questo, io...che con mia sorella ho cresciuto i fratelli più piccoli, io che sono andata a lavorare a tredici anni in una pasticceria-pizzeria e ci stavo dalle sei a mezzanotte, io che mi sono conquistata borse di studio a New York e a Washington DC. Ho preso una laurea alla Georgetown University,  e poi un master alla Columbia in Analisi delle politiche pubbliche e Relazioni internazionali. Più tardi, era il 1984, ho scelto di ritornare in Italia, l'ho fatto liberamente, e mi sento forte in questa scelta. La mia condizione di doppia appartenenza fa una differenza, guardo agli immigrati che sono nel nostro paese con questa consapevolezza. Il mio lavoro nelle reti sociali mi ha messo a contatto con tanti uomini e donne arrivati nel nostro paese per povertà, in cerca di lavoro, in fuga da guerre e da fame. Penso che uno degli impegni prioritari ed etici della politica e di un'amministrazione pubblica riguardi proprio la condizione dell'emigrazione e dell'immigrazione, è la misura della civiltà di un paese e di una città.   
Perchè ho deciso di candidarmi
Sono stata assessora per sei mesi alla Regione Lazio,  gli ultimi tre dell'amministrazione Marrazzo. Non ho avuto il tempo di sviluppare il mio approccio come amministratrice pubblica di un'ente locale, solo di rendermi conto della sua fondamentale rilevanza come motore di sviluppo sia economico che sociale. Tutto dipende dall'amministrazione, che è cosa totalmente diversa dalla politica, e dunque necessita di un approccio direi scientifico, molto concreto. Le mie competenze sono nel settore sociale e nel lavoro con le reti, la decisione di candidarmi alle prossime elezioni amministrative di Roma Capitale come consigliere  nasce dalla volontà di metterle a disposizione del territorio. Un'amministrazione deve stare in continuo collegamento con i cittadini, solo l'ascolto e la comprensione dei bisogni permettono l'elaborazione di politiche e di atti concreti a risolverlo. Penso al mio ruolo di consigliere comunale come a una cerniera di collegamento tra cittadini e amministrazione, e per questo ho deciso di candidarmi, e di continuare l'esperienza avviata alla regione Lazio.
Io, da consigliera comunale
La mia parola chiave è welfare sociale. Mio mio zio, don Di Liegro,   alla Caritas diocesana di Roma, aveva elaborato un approccio alla questione welfare che metteva insieme professionalità e conoscenza delle strutture di welfare sul territorio. Un metodo che è importante mantenere, che presuppone il collegamento tra reti sociali e amministrazione pubblica, e che permette di ottimizzare le risorse per far sì che rispondano alle attuali necessità dei cittadini. Nella crisi che ci troviamo oggi a sostenere, alcune di queste necessità si sono acuite, sono ancora peggiorate da quello che ho conosciuto quando lo aiutavo, come volontaria. Oggi, il problema della povertà, il problema della casa, il problema dell'occupazione, la perdita del posti di lavoro, il dover mandare avanti la vita quotidiana in uno scenario di vera emergenza sociale, pone l'amministrazione pubblica di fronte a compiti ancora più gravosi. La famiglia, e per famiglia intendo la famiglia estesa, i bisogni delle donne, dei bambini che crescono, degli anziani, dei genitori, necessitano di interventi più che mai mirati. Stiamo uscendo da una guerra, una guerra di droni finanziari. L'abbiamo subita, questa guerra finanziaria, e abbiamo subito anche mancanza di etica, di moralità, di competenze, di capacità della nostra leadership politica. Chi paga il prezzo, adesso, sono i cittadini. L'amministrazione pubblica deve impegnarsi in una politica di emergenza sociale, non possiamo permettere che le persone si sentano sole, dobbiamo dare risposte, ma risposte emergenziali come in un dopoguerra.
Mettere in rete territorio e amministrazione pubblica
Welfare sociale per me significa mettere in rete quello che abbiamo per affrontare i problemi per quello che sono. Quindi, significa semplificare i rapporti tra l'amministrazione pubblica ed il volontariato, l'associazionismo, la cooperazione sociale, e gli altri soggetti del no profit e del profit. Significa ripristinare quel cinque per cento che, nel passato, veniva dato alle persone con disabilità fisiche e psichiche per aiutarle a vivere. Significa anche monitorare il patrimonio residenziale comunale per un immediato utilizzo dei beni dismessi, implementare la risposta contro l'usura con un fondo etico per le famiglie usurate e la rete degli sportelli antiusura,. Investire nella formazione professionale in un'ottica manageriale che passa anche attraverso una riconversione delle professionalità legata all'offerta di nuovi lavori per nuovi bisogni. Penso alle persone over40 e over50 che perdono il posto di lavoro e hanno bisogno di supporto per l'inserimento e di un aiuto seppur minimo ma indispensabile per tirare avanti. Quello che serve non è la carta sociale proposta da Alemanno sotto elezioni, 300 euri che somigliano tanto ad un'esca da campagna elettorale, ma un piano di orientamento e supporto costante, in un'ottica di impegno sociale basato sull'ascolto.
A proposito di managerialità e di mission
Lavoro è all'ANCI, sono direttore di Restipica, un'agenzia che mette in rete duemila comuni italiani, curo programmi di formazione per l’export a piccole e medie imprese italiane, e ho coordinato molti progetti per la creazione di impresa finanziati dalla Comunità Europea. Vengo dalla scuola anglosassone, ho imparato come coniugare l'aspetto di visione, la mission, con quello del lavoro manageriale. Nulla si improvvisa,  non c'è bisogno di essere profeti, basta guardare nella direzione giusta. Faccio un esempio: parecchio tempo fa, ho deciso di impegnarmi nel volontariato che si occupa di disagio mentale, un settore che già seguivo con don Luigi che sosteneva le ragioni di Basaglia sulla chiusura dei manicomi. Ho capito cosa vuole dire disagio psichico per una persona che soffre di questo disturbo e per i suoi familiari: come mettere a fuoco la questione delle relazioni, della famiglia, di avere una cittadinanza.  Oggi, sono concentrata in particolare sulle giovani donne, tocco con mano che le ragazze vivono un stress emotivo maggiore di quello dei maschi. Da cosa dipende? Dal fatto che devono affrontare la competizione non solo con i maschi ma anche tra loro, che devono essere in grado di fare tutto, di essere madri ed anche professioniste,  il che significa ricerca di occupazione, lavori complessi, condizioni difficili. Le ragazze vivono una grande grande pressione, ma se ne parla poco, c'è poca informazione, quasi nessun intervento; parlare di conciliazione tra vita famigliare e vita professionale non è abbastanza, bisogna guardare al prisma della persona umana, e lavorare sulle relazioni. Tra i sessi e nella società.  Anche la questione della violenza contro le donne rientra in questo approccio. Da assessore alla Regione Lazio ho continuato a finanziare gli sportelli anti violenza, sono convinta che devono esistere e devono essere potenziati. Le donne sono il perno di qualunque relazione che si costruisce sul territorio, la violenza fuori e dentro le mura domestiche va affrontata dal punto di vista culturale e da quello dei servizi, è una questione di emergenza sociale. 
L'attivismo per i diritti delle donne
Il mio approccio al femminismo e alla questione femminile è quello di Hillary Clinton quando dice: se vogliamo cambiare le cose, ci dobbiamo stare... Ecco: stare, esserci, costruire, ma anche fermarci a riflettere. Siamo bombardate ogni minuto da mille esigenze, famiglia e professione ci chiedono risposte immediate e continue..., fermarsi a riflettere per me significa dare spazio alla nostra esigenza di capire dove vogliamo andare, cosa è prioritario per cambiare la nostra condizione e quella delle altre donne nell'ottica della parità. In Italia c'è un grande problema culturale, che secondo me non viene affrontato nel modo più idoneo alla soluzione. Per dirne una, è un paese che permette alla politica di usare le donne, lo dico con franchezza. Parlo per esempio delle modalità con cui il PdL ha utilizzato politicamente in questi anni le donne e la loro immagine, ma è pur vero che il problema è generale e può darsi che neanche il mio partito ne sia immune. Un esempio? Le donne candidate nelle liste elettorali hanno in generale poca possibilità di essere elette, su di loro non c'è nessuna promozione. Sono tra quelle scettiche sui risultati della doppia preferenza, credo piuttosto che per l'emersione in ottica paritaria delle candidate, al fine della loro elezione, sarebbe stato necessario un quorum fisso. Tante candidate, e tante elette certe. Ovvio che questo sistema sarebbe andato a scapito dell'elezione di un certo numero di uomini , ma penso che fuori dai santuari della politica, anche tra i padri che hanno in casa una figlia interessata a fare seriamente politica, ci sarebbe stato un bel sostegno... Adesso le candidate corrono seriamente il rischio di ritrovarsi ad aiutare un candidato uomo che aveva già i suoi voti, magari acquisiti nella logica tradizionale. Penso che a monte ci siano ancora retaggi culturali potenti, voglio lavorare su questi, anche in riferimento al mio partito. Lo svecchiamento non è tanto un fatto anagrafico quanto una rottura complessiva di vecchie logiche e atteggiamenti culturali.
La questione culturale
Sono più che convinta che alla base della crescita civica di qualunque paese ci sia la cultura. Penso a biblioteche moderne, aperte, multimediali, capaci di attrarre ragazzi e ragazze. Penso a parchi attrezzati, con la presenza di educatori di strada gratuiti per i nostri bambini e adolescenti,  soluzioni che possono essere a portata di mano, basta avere una visione diversa dell'impiego delle risorse. Pensare al presente, tenendo bene a mente che tutto quello che facciamo ricadrà sul futuro. Nel mio programma, ho dato spazio all'aumento di porzioni di territorio dedicate agli sorti urbani, è una risposta concreta al bisogno di aggregazione e socializzazione dei quartieri, per aiutare i cittadini a non sentirsi soli,  ed è anche un modo di rivivere il senso antico delle nostre radici culturali legate alla terra, all'agricoltura. Io dico : Roma non è la mia città, è la mia comunità. Dobbiamo cominciare a far crescere questa comunità, dove esistono culture molteplici, ma dove cresciamo tutti; dove la violenza del senso del potere non è la cultura dominante. Noi donne abbiamo subito questa cultura basata sulla forza, sul potere di un genere sull'altro. Ricordiamoci che il voto alle donne risale solo al 1946, che il divorzio in Italia non c'era sino alla fine degli anni Settanta, che il delitto d'onore è stato abolito nel 1981.... 
Quando parlo di cultura penso alla trasmissione del sapere che si può fare in molti e diversi modi, possiamo dire grazie alle amministrazioni capitoline come quella  di Veltroni che ci ha dato  l'auditorium, la casa del jazz, tante espressioni teatrali di quartiere, le biblioteche... Oggi dobbiamo fare rivivere queste strutture, pensare ad un volontariato dedicato, perchè da lì si può irradiare un'energia positiva per tutto il resto, una contaminazione positiva per la politica.
Creare vasi comunicanti, questa è la mia idea di Roma comunità. O come, dicono le amiche di Women in the City, di città aperta metropolitana.

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